Aborto, in Lombardia via alle modifiche

LEGGE 194, lo scontro

Aborto, in Lombardia via alle modifiche

 

Limiti più restrittivi sull’aborto terapeutico. Interruzione vietata dopo la 22esima settimana

MILANO — Nuovi limiti all’aborto terapeutico, vietato dopo la 21esima settimana (o, tutt’al più, dalla 22esima e 3 giorni). Non solo: l’interruzione di gravidanza per motivi di salute della donna vincolata al via libera di un’équipe di specialisti (tra cui, eventualmente, anche uno psichiatra). E il divieto dell’aborto selettivo in una gravidanza gemellare in assenza di reali problemi fisici o psichici della paziente. Mentre a livello nazionale infuria il dibattito sulla 194, gli ospedali di Milano si sono dati linee guida che mettono paletti all’applicazione della legge. Nelle ultime settimane lo hanno fatto sia la Mangiagalli, prima clinica in Italia a praticare le interruzioni di gravidanza dopo l’esplosione dell’Icmesa a Seveso, sia il San Paolo, travolto quest’estate dallo scandalo per lo scambio di un feto sano con uno malato in un aborto selettivo. Ma non finisce qui: dalla metà di dicembre entrambi i codici di autoregolamentazione sono al vaglio della Regione. Decisa a estendere le nuove regole a tutta la Lombardia.

È una questione di giorni: la bozza del provvedimento è già pronta. «Vanno colmati gli attuali vuoti legislativi — spiegano al Pirellone —. Nel rispetto della 194». A Milano l’auspicio del cardinale Camillo Ruini è, insomma, diventato una realtà («Forse, dopo 30 anni, bisognerebbe aggiornare la legge 194 (…) — ha detto il 31 dicembre il vicario del Papa per la diocesi di Roma —. Diventa inammissibile procedere all’aborto a un’età del feto nella quale egli potrebbe vivere anche da solo»). A breve è destinata a succedere la stessa cosa nel resto della Lombardia. Uno dei punti clou è l’anticipazione del tempo limite per l’interruzione terapeutica della gravidanza. Nel 2004 la Mangiagalli l’aveva portato alla 22esima settimana e 3 giorni (termine ribadito anche nel nuovo documento dell’autunno 2007), ora il San Paolo lo fa scendere alla 21esima (la legge non ne fissa nessuno, anche se normalmente si considera la 24esima settimana). «Noi non abbiamo voluto stare con le mani in mano in attesa di una soluzione presa a livello nazionale — spiega Giuseppe Catarisano, direttore generale del San Paolo —. Così abbiamo deciso di muoverci autonomamente in accordo con i vertici della Regione Lombardia ». I motivi della decisione sono spiegati nel testo che ha ottenuto il via libera del comitato etico dell’ospedale: «Il limite fissato, da un lato rende inverosimile la possibilità di vita autonoma del feto, dall’altro consente di effettuare gli accertamenti diagnostici necessari». Un altro passaggio fondamentale dei due codici di autoregolamentazione è l’entrata in scena di un’équipe di medici al posto del solo ginecologo. «In Mangiagalli la necessità di aborto terapeutico deve essere certificata da almeno due medici ginecologi e firmata dal primario — dice Basilio Tiso, direttore sanitario della Mangiagalli, 6.700 parti contro 1.700 aborti —. È un modo per dare più sicurezza alla donna che si può confrontare con uno staff». Sulla stessa linea il San Paolo che, con la Mangiagalli, condivide anche il divieto di aborto selettivo in assenza di problemi di salute della donna. «I principi del documento sono stati concordati con tutti i medici — sottolinea Tiso —. Indipendentemente dal loro credo politico».

Simona Ravizza
04 gennaio 2008

This entry was posted in RASSEGNA STAMPA. Bookmark the permalink.